Accompagnati da padre Sathya, entriamo nel Vanni, il cuore del conflitto civile, regno della militanza delle Tigri del Tamil. Sotto un sole cocente percorriamo la strada di terra rossastra. Costeggiamo montagne di scheletri di veicoli arrugginiti, abbandonati dalla popolazione in fuga. Ogni tanto un vecchio Tamil si aggira fra le macerie alla ricerca di qualche ricordo sepolto. Fiancheggiamo distese di terreni vuoti, a volte s’intravedono le fondamenta di abitazioni o solo la recinzione esterna, qui e là brandelli di muro trivellati, palme capitozzate e annerite dalle bombe.
A distanza di tre anni dalla fine del conflitto, gli abitanti rimasti di Mullaittivu trovano ancora rifugio in baracche improvvisate: palme intrecciate, muri di fango e nylon per proteggersi dalle piogge. Proviamo a immaginare quale umana ferocia abbia causato tutto questo.
La nostra mente vaga alla ricerca di qualche vecchio film di guerra già visto. A padre Sathya basta chiudere gli occhi per sentire il frastuono delle mine esplodere a pochi metri di distanza, il rumore dei proiettili di una mitragliatrice scoppiare sul muro, le grida strazianti della gente terrorizzata.
Padre Sathya è un giovane sacerdote Tamil; a Mannar è molto conosciuto, le persone lo stimano e gli portano rispetto. Durante il conflitto, specialmente nella fase cruenta finale, è rimasto in mezzo alla popolazione, cercando di salvare i civili intrappolati fra l’avanzamento dell’esercito governativo e il ritiro dell’esercito rivoluzionario delle Tigri. Ci ha portati a vedere i luoghi in cui si è rifugiato con la sua gente durante la guerra civile durata 27 anni e terminata nel 2009. Ci ha condotto nel Vanni.
Il conflitto civile ha visto contrapporsi l’esercito governativo SLA (Sri Lanka Army) con quello delle LTTE (Tigri per la Liberazione del Tamil Eelam), gruppo insurrezionale in lotta per l’indipendenza dei territori settentrionali e orientali del paese. Lo Sri Lanka è un’isola che concentra grandi differenze sia geografiche che religiose, sia etniche che culturali. È abitata da due etnie che parlano lingue e professano religioni diverse: i Singalesi (70%, buddisti) e i Tamil (18%, cristiani e induisti). Terminato il periodo coloniale e raggiunta l’indipendenza nel 1948, i Singalesi occuparono tutti i principali posti di potere, estromettendo di fatto i Tamil che li presiedevano su supervisione dell’impero inglese. Una parte del popolo Tamil ha iniziato ad accusare una serie di forti discriminazioni nei confronti della propria etnia e ha creato il gruppo ribelle armato, che per anni è riuscito a mantenere il controllo di un’ampia parte di territorio. Nel 2009 il governo, dopo quasi tre decenni di guerriglie, ha deciso di adottare una risoluzione definitiva con massicci attacchi e bombardamenti a tappeto, sterminando di fatto i ribelli, assieme a quarantamila civili. Come ogni guerra sconfinata nei paesi poveri, non se n’è sentito molto parlare e i civili uccisi sono rimasti corpi senza volto.
Padre Sathya ci ha raccontato come l’esercito governativo, negli ultimi mesi del conflitto, bombardava le così dette Heaven Zone (zone definite come sicure, in cui i civili si potevano rifugiare, secondo la legge di guerra). La scusante di tali violazioni aveva come movente il tentativo di snidare i ribelli che secondo l’esercito vi cercavano rifugio. E come ogni guerra decisa da pochi, anche questa ha lasciato migliaia di orfani, vedove, mutilati, bambini con traumi permanenti, morti senza giustizia che non riposeranno in pace. L’attuale presidente, Mahinda Rajapaksa, ha rifiutato di sottoporsi a un’indagine internazionale sui delitti commessi durante la guerra e non permette ai giornalisti stranieri di entrare nel paese per far chiarezza su quanto è avvenuto.
Arriva il tramonto, le carcasse dei veicoli arrugginiti sembrano incendiarsi, i vecchi Tamil ritornano non si sa dove, forse nelle umili capanne di fango e paglia all’ombra dei pochi muri rimasti in piedi delle loro case. Padre Sathya ha finito le sue parole per noi, i ricordi l’hanno stancato. Il sole scende a Mullaittivu e noi due compagni di viaggio ci chiudiamo nel nostro silenzio a pensare: “Quale giustizia? Quale speranza? Sono solo illusioni? Cosa possiamo fare noi persone che sognano un mondo di pace?”
Dal nostro stage in Sri Lanka, portiamo le speranze piccole ma importanti trovate laggiù; sono le prime associazioni Tamil impegnate a far rinascere con dignità il loro popolo. A Incontro fra i Popoli ora continuare il dialogo con loro, verso orizzonti di “cooperazione internazionale” fondata sul dialogo fra le diversità.