Ogni volta che qualcuno mi domanda cos’ho fatto quest’estate e rispondo che sono andata in Romania a fare un Campo di Servizio, mi ritrovo di fronte a occhi sgranati ed espressioni stupite. Per me quest’esperienza è un grande motivo di orgoglio: ho capito che assieme agli altri si possono fare grandi cose; cose che vanno oltre a quello che si definisce “il nostro piccolo”. Credo che riuscire a donare tanta felicità a quei bambini non sia cosa da poco, superando inoltre barriere che potrebbero sembrare invalicabili, come la questione della lingua e la diversità culturale che divide il nostro paese cosiddetto “sviluppato” da quelli impropriamente definiti “sottosviluppati”. Dico “impropriamente”, perché l’esperienza in Romania in mi ha fatto capire che non ci sono paesi “sottosviluppati”, poiché ognuno ha qualcosa di “ricco” di cui vantarsi. Credo di non aver mai visto tanta gioia come quella che si leggeva negli occhi di quei bambini. Non hanno nulla di sfarzoso, vestiti all’ultima moda, giocattoli sofisticati, ma sono ricchi di entusiasmo e voglia di vivere, dati proprio da quella semplicità che qui definiamo “povertà”.
Mi ha colpito inoltre la grande tolleranza tra le varie religioni e il senso di altruismo e condivisione che gran parte della gente ha verso il prossimo.
Potrà sembrare un paradosso, ma credo sia il caso di dirlo: la Romania, paese povero e “sottosviluppato”, ha saputo donarmi ricchezze uniche, dal valore inestimabile
Elisabetta Stocco (16 anni, Settimana Giovani Romania)