«Cinque persone furono prese quel giorno dai militari dell’esercito mentre stavamo lavorando nel campo. […] Una mia amica fu uccisa e il suo corpo fu buttato nel fiume. L’esercito nepalese uccideva le persone puntandogli il fucile in bocca e anch’io sono stata torturata. Avevo sete, non potevo parlare e avevo le mani legate, poi misero la mia faccia nell’acqua bollente. In quei momenti ho pensato che sarei morta. Mi hanno pure infilzato un coltello nella gamba e l’hanno tolto solo il giorno dopo. […] Non ho ricevuto niente, nessun aiuto. Avevo conservato tutte le carte e le ricevute degli ospedali, ma si è perso tutto durante un’alluvione».

Mi si stringeva il cuore mentre ascoltavo queste parole. Mancavano due giorni al mio rientro in Italia, dopo tre mesi intensi ed indimenticabili vissuti in Nepal come stagista di Incontro fra i Popoli e volontaria di WHR (Women for Human Rights).

Quel giorno stavo partecipando ad un Workshop organizzato da WHR e dall’alleanza di associazioni femminili Sankalpa, dedicato alle donne vittime della guerra civile nepalese per dare loro la possibilità di condividere le proprie esperienze personali, esprimere bisogni e aspettative e rivendicare giustizia. Ero seduta tra un gruppo di donne provenienti da comunità e villaggi remoti, venute per la prima volta a Kathmandu per raccontare la propria storia. Donne vittime di tortura, di abusi sessuali, rifugiate, vedove o con il marito scomparso, disabili a causa di mine antiuomo e bombe, e altre.

Un estenuante conflitto colpì il Nepal dal 1996 al 2006: morirono più di tredicimila persone. Furono in migliaia gli sfollati e gli scomparsi, moltissime donne rimasero vedove e senza alcun supporto, atroci violenze fisiche e psicologiche furono perpetrate da entrambe le parti in guerra, l’esercito nepalese e i Maoisti. Nel 2006 arrivò l’Accordo di Pace e l’anno successivo un disegno di legge per l’istituzione di una Commissione per la Verità e la Riconciliazione e una Commissione sulle sparizioni … che non divennero mai operative. A tutt’oggi moltissime persone non hanno ricevuto alcun risarcimento. E’ mancato totalmente il riconoscimento di compensazioni specifiche per le donne e nessuna delle linee guida emanate dal governo includeva, tra le vittime del conflitto, chi aveva subito torture, detenzioni arbitrarie, violenze sessuali, stupri e sequestri.

«I Maoisti entrarono in casa nostra chiedendo dei soldi. Noi eravamo poveri, non avevamo niente da dar loro. Durante la guerra chi non pagava veniva ucciso e torturato e questo è successo anche a noi. Mio marito era uno studente, era innocente. Ci hanno bruciato la casa e lui è morto dopo essere stato torturato», riportava un’altra donna quel pomeriggio.

È stato molto toccante sentire la forza di queste donne che, nonostante quello che avevano subito e le difficoltà che affrontano giorno dopo giorno, non si arrendono e combattono per la giustizia e per un futuro migliore, senza perdere la speranza che la situazione possa effettivamente cambiare.

 

Cristina Scollo