1_Miriam Paci (1) La prima cosa che ho detto a tutti coloro che mi hanno domandato del mio primo soggiorno in Africa è che è durato troppo poco. La seconda è stata la facilità, anzi la naturalezza, del rapporto umano avuto con le persone che mi hanno accolto.

Due mesi sono pochi per pensare di comprendere appieno la realtà di un paese, così vasto e complesso, come la Repubblica Democratica del Congo.

Il primo impatto è stato a con la capitale Kinshasa, ed è stato potente. Nel lungo stradone a sei corsie, che dall’aeroporto mi avrebbe condotto alla mia prima sistemazione, vi erano veicoli di ogni sorta che si incrociavano senza apparente logica e vi era gente ovunque. Dappertutto. Un fiume di umanità che si dipanava lungo la via principale e che letteralmente esplodeva lungo le vie laterali.

Trasferitomi dopo alcuni giorni nel Maniema, una provincia grande un terzo l’Italia, situata nel cuore dell’Africa, ho avuto modo di vedere un’altro Congo, una realtà rurale relativamente tranquilla, non particolarmente sconvolta dalle numerose guerre che hanno martoriato la storia recente del paese. Ma anche e soprattutto una regione isolata: dimenticata dallo stato, abbandonata delle grosse organizzazioni internazionali e dove il necessario arriva solo via aerea, in quanto non esistono vere vie di comunicazione.

Esempio paradigmatico di questa situazione è Shabunda, capoluogo del territorio più vasto della provincia del Sud Kivu2 Alberto Aggio_1, distante appena 210 chilometri dal capoluogo del Maniema, Kindu, ma che per essere raggiunta via terra abbisogna, se si è fortunati, di due giorni di viaggio nella foresta equatoriale. Una città estremamente isolata in cui gli indicatori di povertà sono allarmanti ed in cui vi è un costo della vita elevatissimo (un litro e mezzo di acqua naturale costa 5 dollari). Una città che, dopo la recente scoperta della considerevole ricchezza mineraria del suo territorio, è passata, nel breve arco di tempo che va dal giugno del 2014 a gennaio del 2015, da 60 a 140 mila persone e le cui già scarse infrastrutture, realizzate perlopiù dalla dominazione coloniale belga, non paiono minimamente in grado di sopportare tale repentino incremento.

Tutto questo accade, con un evidente aumento del disagio sociale, nel totale disinteresse delle autorità politiche e amministrative locali, le quali sembrano principalmente preoccupate a trarre beneficio dal depredamento delle ricchezze di Shabunda da parte delle varie imprese minerarie straniere.

Questo ed altri viaggi per il Maniema, mi han portato, in un primo momento, a pensare che ben poca speranza ci potesse essere per le genti del RD Congo.

Ma nel medesimo tempo in cui iniziavo a conoscere la loro terra, iniziavo a conoscere le persone che costituiscono le varie organizzazioni partner di Incontro fra i Popoli. Persone che mi hanno guidato attraverso il loro paese, con cui ho vissuto, con cui ho mangiato e che con me hanno condiviso la loro storia.

Ho visto come Pierre Shako, a Kinshasa si prenda cura dei bambini orfani del suo quartiere favorendone la scolarizzazione.

Ho visto come UWAKI, ormai la più importante realtà civile del Maniema, fra le molte sue attività, si adoperi per diffondere metodi agricoli più redditizi e rispettosi dell’ambiente, e lavori per costituire una federazione unitaria dei produttori agricoli della provincia.

Infine ho visto come i giovani membri della Maison du Vétérinaire cerchino costantemente di migliorare le loro competenze in ambito veterinario per poi offrirle alle comunità in cui vivono.

Ma ciò che è meno visibile è il lavoro sotterraneo di costruzione di coscienze che ogni giorno compiono presso le proprie comunità. Un lavoro difficile, fatto per rendere più consapevoli le donne e gli uomini congolesi delle loro potenzialità, dei loro diritti, della possibilità di costruirsi un futuro migliore.