0bis_Loreta PasquarelliIl risveglio più emozionante è stato confondere le nuvole con il mare e vedere l’alba dal finestrino di un aereo, il mio primo aereo: l’orizzonte caldo, arancio, le nuvole che sembrano danzare come onde spumose e galoppanti, che ombreggiano i paesaggi incantati nel tempo e nello spazio. Dall’alto le rossicce terre, che da lontano creano fiumi sanguinanti, si fondono col cielo e sprofondano in valli per abbracciare i laghi e ancora le nuvole che si fondono con l’acqua, in una poetica natura.

Ma ancora più emozionante è stato calpestare la terra polverosa, arida, calda di giorno, fredda di notte, e respirare l’aria del cielo così stellato, luminoso, limpido, un cielo che contiene magiche stelle, dove le costellazioni sono ben visibili e la luna prosegue il suo ciclo, mostrandosi con tutta la sua luminosità, un cielo che al mattino contiene un’altra stella, la più luminosa, la più grande e più importante fonte di luce e guida per eccellenza, la sveglia mattutina che assieme ai cori gospel ti segnala l’inizio di una nuova giornata.

Goma è stata la prima tappa del mio viaggio di condivisione in Africa (RD Congo): caotica, terra nera di natura vulcanica. Nell’aria un odore di qualcosa che brucia, alternato al dolce profumo di bignè fritti.

A Goma ho avuto il primo incontro con la povertà nelle strade e negli ospedali e conosciuto le prime realtà dei bambini di strada. Ho conosciuto Eric, un bambino che il giorno della mia partenza per Bukavu è venuto fino al porto per dirmi di non partire e restare a vivere con loro. Difficile dimenticare il suo viso pieno di lacrime e l’incredulità delle persone che mi guardavano abbracciare “un bambino di strada”.

Sei, sette ore di traghetto dividono Goma da Bukavu attraversando il lago Kivu. “Ho deciso di scappare e prendere il traghetto della notte, nascondendomi bene per non essere visto e un uomo, dal porto di Bukavu, mi ha accompagnato al centro di prima accoglienza del PEDER”. Queste le parole di Eric, che mi racconta, con un misto tra vergogna e felicità nel vedermi, come ha fatto a viaggiare anche lui da Goma a Bukavu.

Questa è una delle storie che fa passare i bambini da una città all’altre. Le motivazioni che spingono i ragazzi e le ragazze a lasciare le loro famiglie sono la povertà, il bisogno di indipendenza, la ricerca del mito ‘denaro facile’, il non accettare le regole della famiglia a volte non biologica, il bisogno di allontanarsi da qualcuno che ti crede portatore di spiriti maligni, il desiderio di cercare un cammino autonomo.

A volte appare l’opportunità di realizzare il bisogno più profondo, il sogno di tornare a casa dove trovare finalmente affetto e magari iniziare o riprendere la scuola materno o imparare un mestiere. Ma c’è sempre chi preferirà la strada.

Una realtà fatta di contraddizioni, tra il bisogno di evolvere e quello di rimanere ancorati alle tradizioni, una realtà cui non manca l’intelligenza, la volontà e lo spirito di umanità.

Una fiducia importante e fondamentale che ti permetterà di vedere il bambino più violento del centro PEDER correrti incontro per farsi marcare il pallone e abbracciarti forte perché sa che domani tornerà a casa. Ti permetterà di divenire il confidente di un capobanda che sceglie di iniziare il corso biennale di alfabetizzazione: Ti permetterà di essere la guida per tante ragazze bisognose di attenzione.

Del Congo ho amato la semplicità, la gente, i sorrisi, essermi sentita viva e a casa, non aver avuto meta, ma solo il bisogno di evolvere insieme creando l’Ubuntu che in lingua swahili significa “Umanità” e letteralmente “ Io sono perché noi siamo”.

Ringrazio chi mi ha dato la fiducia e mi ha permesso questo ‘soggiorno di condivisione’, dandomi occasione di scoprire l’unicità del mio Essere attraverso il dono di me stessa all’altro, permettendomi di realizzare un grande sogno d’infanzia. Ringrazio chi mi ha accolta e ogni persona incontrata, cui ho donato una parte della mia anima.